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Il tentativo europeo di aggirare le sanzioni Usa contro l’Iran manda un segnale sbagliato ai regimi autoritari

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La limitata portata economica del “veicolo speciale” non vale il prezzo dell’irritazione che suscita a Washington e il messaggio politico sbagliato che arriva a Teheran, Mosca e Pechino

Se ne è parlato a lungo nei mesi scorsi e finalmente ci siamo. Parigi, Berlino e Londra hanno annunciato la nascita di un veicolo finanziario speciale per permettere alle aziende europee di continuare a fare affari con l’Iran aggirando le sanzioni Usa, nel tentativo di salvare l’accordo sul programma nucleare iraniano da cui l’amministrazione Trump è uscita. Concretamente, si tratterebbe di un sistema di transazioni alternativo per non coinvolgere nei pagamenti le banche, le cui attività sono inevitabilmente legate agli Stati Uniti e sarebbero quindi le prime a finire sotto la mannaia delle sanzioni americane.

Promotori di questa iniziativa sono Francia, Germania e Regno Unito, i tre partner europei dell’accordo sul nucleare iraniano concluso nel 2015. Lo strumento si chiama Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges), sarà basato a Parigi, diretto da un banchiere tedesco ex Commerzbank, mentre un inglese guiderà il consiglio di sorveglianza. In una fase iniziale il veicolo servirà per vendere all’Iran prodotti alimentari, farmaci e dispositivi medici. Dunque, lo strumento appare depotenziato rispetto alle intenzioni iniziali – quando si parlava persino di importazioni di greggio e gas, per esempio – anche perché le grandi compagnie europee non sono certo disposte a rischiare i loro affari negli Stati Uniti. E appare piuttosto destinato alle aziende medio-piccole che non hanno affari e interessi oltreoceano, dal momento che nulla potrebbe schermare dalle sanzioni chi ne avesse. La linea dell’amministrazione Trump infatti resta la stessa: o fate affari con noi o con l’Iran. Le imprese che continuano a fare affari con Teheran, anche attraverso Instex, rischiano la perdita dell’accesso al mercato e al sistema finanziario Usa.

Al momento quindi questo veicolo è ben lungi dal riuscire a garantire i benefici economici che Teheran si aspetta dalla revoca delle sanzioni, come premio per l’impegno a congelare il suo programma nucleare per dieci anni. Per il regime iraniano è un “primo passo” di una serie di impegni che gli europei avrebbero preso per soddisfare le sue condizioni per tenere in piedi l’accordo sul nucleare. Ma secondo Teheran, il meccanismo sarà “pienamente vantaggioso per l’Iran quando sarà accessibile anche a tutti i Paesi e alle società anche non europee”.

Un possibile sviluppo che trova conferma nelle parole dell’Alto rappresentante Ue Federica Mogherini:

“Continueremo ad accompagnare il lavoro dei Paesi membri coinvolti per rendere questo veicolo operativo al più presto possibile in stretto coordinamento con le controparti iraniane. Sosteniamo il loro impegno a sviluppare ulteriormente Instex con i Paesi europei interessati e ad aprirlo, in una fase successiva, agli operatori economici di Paesi terzi”.

In pratica, pare di capire, un veicolo finanziario definito “europeo” verrà al più presto messo a disposizione anche di aziende russe e cinesi, ad esempio, per i loro scambi con Teheran al riparo delle sanzioni Usa. Almeno in questa prima fase Instex non dovrebbe suscitare rappresaglie da parte di Washington, ma è certo che la sua attività e i suoi sviluppi verranno tenuti sotto stretta osservazione.

“Il nostro lavoro congiunto per preservare l’accordo sul nucleare continua”, ha sottolineato la Mogherini, ribadendo che l’Ue lo “sostiene pienamente” perché “funziona”, come confermano ben 13 rapporti dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) secondo cui l’Iran starebbe in effetti rispettando gli impegni assunti. Che l’intelligence israeliana sostenga tutt’altro è forse troppo prevedibile, ma qualche sospetto lo sollevano le voci che arrivano da Teheran stessa. Come solo Gabriele Carrer, su La Verità, ha riportato pochi giorni fa, è l’Iran ad ammettere di aver violato l’accordo, e di averlo fatto ben prima che Trump ne uscisse. In una intervista televisiva, il capo dell’Agenzia atomica iraniana, Ali Akbar Salehi, ha infatti rivelato che sono stati “acquistati segretamente pezzi di ricambio per attrezzatura nucleare che il Jcpoa ci aveva richiesto di distruggere”; che “gli impianti di produzione di uranio arricchito sono operativi”; e che “stiamo facendo progressi nella propulsione nucleare”.

In che rapporto sia questo veicolo, formalmente una società di diritto privato, con l’Unione europea è ancora molto poco chiaro. La Mogherini ha parlato di “sostegno Ue” all’iniziativa. Il ministro dell’economia francese Bruno Le Maire l’ha definito una “istituzione europea”. I tre Paesi promotori fanno parte dell’Ue, ma uno di essi è in procinto di uscirne. Se dunque si tratta di una iniziativa autonoma di Parigi, Berlino e Londra, in che senso, e a nome di chi, viene definito un veicolo “europeo”? Cosa ne pensano gli altri governi? E quello italiano, niente da dichiarare? Quanti vi aderiranno? Potranno approfittarne anche compagnie di Paesi che non vi aderiscono? Sembrerebbe di sì, visto che si parla di “Paesi terzi”.

Come detto, la portata e l’efficacia dello strumento sono piuttosto circoscritte, almeno per il momento. Poco più di un contentino e come tale, infatti, è stato accolto a Teheran. Ma come gli stessi ministri degli esteri di Francia, Germania e Gran Bretagna hanno voluto sottolineare durante la conferenza stampa congiunta di presentazione, a Bucarest, è al valore politico dell’atto che bisogna guardare. “Un gesto politico importante”, ha osservato il ministro degli esteri francese Jean-Yves Le Drian. “Un passo che chiarisce” come l’Europa “stia andando per la sua strada in modo determinato, unito” nella gestione dei rapporti con Teheran, ha spiegato il ministro degli esteri tedesco Heiko Maas.

Insomma, una sfida aperta alla politica mediorientale della Casa Bianca e a Israele, ma anche un gesto che sottolinea una volontà europea di emancipazione strategica dagli Usa. La preoccupazione sembra quella di dimostrare a Teheran, ma anche a Mosca e a Pechino, gli altri due partner del Jcpoa, che non siamo agli ordini di Washington.

Se questo strumento non appare ancora in grado di minare dal punto di vista economico e commerciale la strategia della “massima pressione” con cui l’amministrazione Trump punta a isolare il regime iraniano e indurlo a rinegoziare l’accordo in modo più stringente, dal punto di vista politico però Parigi, Berlino e Londra (o dovremmo parlare di Ue?) si dissociano nettamente dalla politica di Washington incoraggiando Teheran a giocare sulle divisioni occidentali. E proprio mentre gli Stati Uniti stanno mettendo in atto una strategia di confronto a tutto campo con l’asse delle potenze autoritarie che minacciano, loro sì, l’ordine liberale (la guerra dei dazi con la Cina; l’uscita dal Trattato INF, tanto per citare l’ultima di una serie di mosse scomode per il Cremlino; l’isolamento di Teheran e di Maduro), i principali Paesi europei decidono di consumare uno strappo con Washington e lanciare invece un messaggio di disponibilità a Teheran e, per suo tramite, a Mosca e Pechino. L’ennesimo segnale di una illusoria e pericolosa equidistanza verso cui si sta dirigendo l’Europa a guida franco-tedesca.

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