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Un libro allucinante: Monti rivendica il suo odio per gli italiani e la sovranità popolare

Il suo “Demagonia” un compendio di concetti eversivi, teorizza il populismo dei Competenti: un governo di “filosofi” unici interpreti dell'”interesse generale”

Monti demagonia (Rai3)

Mario Monti ha scritto un libro, “Demagonia”. Allucinante, come il lettore vedrà.

Un’Europa forte contro gli Usa

Assunto fondamentale, “un’Europa forte è la migliore arma di cui disponiamo”. Un’Europa forte contro gli Usa, coi quali dobbiamo avere “un rapporto paritario”. Obama inizialmente non gli aveva dato una mano e – poi – lo ha fatto solo per proprie esigenze elettorali. La Nato viene citata una sola volta e in quanto lobbista per Microsoft. La Gran Bretagna “offuscata” dalla Brexit è preda di “politiche tanto spericolate quanto inconcludenti”.

Un’Europa forte, contro “un ordine mondiale determinato dai dittatori” … cioè, pure da Trump. Monti lo scolpisce: “un’Europa circondata da Putin, Erdogan, Xi Jinping e sotto la minaccia di un ritorno di Donald Trump”. Egli detesta Trump, definito populista, “che considera l’Ue (se non i singoli Paesi europei) un nemico”, che spinge “all’isolazionismo”, un golpista, emblema di una democrazia in agonia.

Un’Europa forte contro la crisi climatica

Un’Europa forte, contro la “crisi climatica”: “la necessità di rispondere con politiche adeguate alla crisi climatica … l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura entro il grado e mezzo rispetto all’età preindustriale” … la “prospettiva di un futuro incerto nel quale l’aumento delle temperature mette a rischio addirittura la prospettiva della specie umana”.

Questa Europa forte (e antiamericana) è la sua patria: la “mia Patria, che è l’Italia europea”, “europeo in Italia”. Infatti, per forte egli intende unita. Il contrario dello Stato-nazione: “gli Stati sovrani, se vengono lasciati a sé stessi, il più delle volte si rivelano incapaci di agire per il bene comune”. Laddove, per bene comune, si deve intendere la salvezza da Trump e dalla crisi climatica … come abbiamo appena visto.

La Bce, che è dei tedeschi

Tale Europa forte dobbiamo farla con i tedeschi. Che pure Monti descrive come i veri strumenti della tremenda pressione subita dall’Italia.

Fondamentalmente, Berlino gestisce una “asimmetria del potere effettivo”, a beneficio degli Stati membri del Nord “intenzionati a subordinare le esigenze italiane alle loro”. Come ha fatto impedendo “un rapido accordo sulla strategia per risolvere la crisi” greca. Poi, ispirando la lettera Trichet-Draghi (“una precipitosa soluzione eterodiretta”). Poi, spingendo quei due e Barroso e Van Rompuy, a rifiutare ogni accomodamento. Poi ancora, producendo un Fiscal Compact “più esplicito, più severo” possibile. Infine, non perdendo occasione per chiedere un innalzamento dei tassi di interesse.

In tutto ciò, Bce rifiutava di agire “senza un chiaro mandato a farlo”. Laddove, si intende un mandato politico, non statutario: “era una camicia di forza imposta dalla politica, non dai trattati”. “Il Paese le cui aspettative devono trovarsi allineate con quelle della Bce, perché quest’ultima possa davvero agire, è, ovviamente, la Germania”.

La sua missione: evitare la moneta italiana

Eppure, di fronte ad una tale Germania che vìola i Trattati e si fa li cazzi sua, Monti aveva una unica preoccupazione: “che l’ancora fragile unione monetaria non reggesse”.

Blatera di “default” italiano. Ma, poi, ammette di aver sempre saputo che Leuro non poteva funzionare: negli anni ‘90 “ripetevo a tutti che … sarebbe stato la ciliegina da apporre sulla torta di un’economia pienamente integrata”. Ed ammette l’esistenza di “un piano di emergenza per gestire un ritorno alla Lira, qualora la situazione insostenibile sui mercati finanziari lo avesse reso inevitabile”, che è cosa ben diversa dal default.

Soprattutto, ammette che quei piani li aveva pure la Francia: Sarkozy non l’avrebbe mai fatto, ma Hollande (“assieme al suo influente consigliere Emmanuel Macron”) gli disse che, nel caso fossimo tornati alla Lira, “la Francia ci avrebbe seguito”. Sicché, alla fine, ciò che Monti ha evitato non è il default italiano, ma la moneta italiana.

Bce solo con la Troika

Lui dice di averlo fatto per non “perdere prestigio” (per non sentirsi dire dai tedeschi: “noi l’avevamo detto!”). E, effettivamente, di compiacere i tedeschi egli ha sempre trovato modo.

Come mostrò il Consiglio europeo del 28-29 giugno 2012. Ove egli sostiene di aver conquistato uno scudo anti-spread: che il MES (allora Efsf) potesse intervenire sui mercati secondari, a beneficio di Paesi “che erano in regola con i requisiti e le condizioni poste dall’Ue”, senza costringerli prima ad “accettare la Troika”.

Peccato che il MES non abbia mai considerato l’Italia “in regola”, né allora né tanto meno col Nuovo Trattato MES. Peccato che ciò che venne fu lo OMT di Draghi, il quale impone agli Stati beneficiari di sottoscrivere un memorandum con il MES.

E ci sarebbero voluti ancora molti anni – e l’accettazione di quel capestro che è la banking union – perché Bce finalmente cominciasse a comprare incondizionatamente con il QE (del quale Monti, infatti, si lamenta: “disfatto a Francoforte quel che era stato fatto allora a Roma”).

Monti fa lui la Troika

Perciò, Monti non aveva ottenuto alcun scudo anti-spread. Quando egli scrive il contrario, mente; quando scrive che sarebbe stato “un passo in avanti per un’Europa … più orientata alla crescita”, fa ridere. Ma deve farlo, perché deve inventarsi una giustificazione per i tagli di bilancio che lui stesso operava in Italia, nel frattempo.

E qui egli è sincero quando scrive che riforma Fornero, Imu, Iva e accise (oltre a incidere “fortemente” sui consumi) hanno “permesso all’Italia di uscire dalla crisi dell’eurozona senza dover chiedere aiuti” alla Troika. Tuttavia, nessuna di queste scelte era “orientata alla crescita” bensì mimava ciò che avrebbe fatto la Troika.

Può essere che tali interventi – pur fra parecchi errori che lui stesso ammette o disconosce (esodati, nautica, GdF a Cortina, Tobin Tax, loden e cagnolino) e qualche riformetta – fossero “utili a rimuovere la polvere che soffoca l’economia e la società italiana”. Tuttavia, di nuovo, mimava ciò che avrebbe fatto la Troika. Insomma, dalla Germania Monti ebbe nulla, ma ad essa diede tutto.

Monti che odia i consumi

La verità è che egli condivide “la disciplina, giustamente voluta dalla Germania”. In altri termini, la Germania gli serve non nonostante essa si faccia li cazzi sua, ma precisamente perché si fa li cazzi sua.

Scrive che “i tedeschi considerano ancora l’economia una branca della filosofia morale e … favorire i consumi … non è eticamente giustificabile”. Per poi aggiungere che hanno ragione: “ciò che l’Europa e i mercati hanno imposto non comprende nulla che non fosse già stato proposto da tempo” da gente come lui. È perché abbiamo favorito i consumi “che i giovani italiani fanno così fatica a trovare lavoro, che abbiamo squilibri territoriali rilevanti tra Nord e Sud”.

Grande è la stoltezza dei proprietari di casa, i quali tutti “finiscono per investire più nel mattone che nell’istruzione e, così, causano un danno di lungo periodo alla generazione successiva”. Della crisi, i consumi sono la causa, lo spread la giusta punizione.

Così, all’ottimo presidente di Confedilizia, Giorgio Spaziani Testa, che “mi ha contestato di essergli costato 240-250 miliardi”, Monti risponde “io ne sono orgoglioso”. Ma non gli basta: vuole pure più imposta sulle successioni e imposta patrimoniale.

Monti tassa-e-investi

Al contrario, è “moralmente compatibile” favorire gli investimenti; i quali consistono in “beni pubblici che il mercato non può produrre in modo spontaneo e che richiedono un intervento pubblico”. Senza dimenticare che, per beni pubblici, egli intende spesa a beneficio del bene comune, cioè – lo abbiamo visto – la salvezza da Trump e dalla crisi climatica.

Perciò sbaglia chi vuole abbassare “la pressione fiscale, quasi si volesse privare lo Stato di uno dei suoi strumenti più potenti” … per difenderci da Trump e dalla crisi climatica. Laddove, colpisce assai come egli non ricorra mai all’unica giustificazione possibile del proprio operato: aver risanato la bilancia commerciale … proprio perché ciò che gli interessava non era importare di meno, bensì proprio acquistare più beni pubblici.

Insomma, Monti non è affatto un liberale, bensì un gretino (pure un po’ putiniano) tassa-e-investi. E, quando descrive sé stesso come un esponente della “borghesia imprenditoriale del Nord”, fa veramente ridere.

Le simpatie politiche

Coerenti le sue simpatie politiche (nonostante egli si proclami “centrista”): Romano Prodi, Luigi Spaventa, Piero Ottone che lo accolse al Corriere, Urbano Cairo che gli ha commissionato il libro, Stefano Feltri che lo ha aiutato a scriverlo, Paolo Gentiloni “con una solida àncora europea”, Enrico Letta che voleva reintrodurre le imposte sulla prima casa e di successione, Matteo Renzi che ha almeno tentato “di intervenire sul mercato del lavoro”, Sergio Mattarella che “salvaguarda l’ancoraggio europeo”, Giorgio Napolitano che lo ha nominato “a presidio dell’indissolubile legame con la costruzione europea”.

Monti contro la destra

Coerente pure il suo disdegno verso la destra: “il problema risale a quando Silvio Berlusconi per primo, ma non da solo, ha diffuso l’idea che tassare significa mettere le mani nelle tasche degli italiani”; “campione di populismo”, responsabile di “una polarizzante stagione politica”; espressione vivente della demagoniaagonia della democrazia, alla quale il libro è dedicato. Al quale Monti si vanta di aver ostruito la via del Quirinale e – più velatamente – di averne procurato la decadenza dal Parlamento.

Ma, pure prima di Berlusconi, l’Italia democristiana aveva espresso una Banca d’Italia colpevole di “collusione nell’eludere” il vincolo di bilancio ed un Guido Carli “parte di quella collusione, assicurando l’acquisto del debito pubblico non assorbito dal mercato”.

Dopo Berlusconi, il governo Lega-5 Stelle “senza dubbio irresponsabile” tentava un “Lbo (leveraged buy-out)” sullo Stato italiano. E ne ha pure per il governo Draghi, nel quale “ci si è rifiutati anche solo di considerare” nuove imposte.

L’Italia che non ce la può fare

Tutto ciò è accaduto poiché, in Italia, “lo Stato è in svendita” e la spesa pubblica “un gigantesco interesse privato in atti d’ufficio”.

Non è tanto un problema di corruzione diffusa. Quanto una tara antropologica: già Giacomo Leopardi scriveva che siamo scarsi de “il senso civico, il rispetto della legge, la coesione e, ahimè, l’onestà in materia fiscale”. Invero, agli italiani servirebbe niente di meno che “una trasformazione collettiva”.

Talché, la democrazia italiana consiste in un mercimonio, “un maxi voto di scambio, proposto da un partito agli elettori a valere sui soldi dei cittadini”. In tale contesto, “si deve accettare che chi governa faccia spesso mercato delle decisioni di governo … Mercato nel senso … di acquisire il consenso degli elettori facendo l’interesse delle varie categorie. L’interesse generale esce progressivamente di scena”.

Per fortuna ci sono i Competenti

Ma chi sarà mai a poter decidere quale sia tale mitologico interesse generale? Risposta ovvia: lui stesso, Monti, in quanto filosofo [sic]: “nel mito della caverna, Platone spiega che i filosofi, liberati dalla prigionia che fa vedere solo le ombre degli oggetti reali e ai quali pertanto si dischiude la verità, hanno il dovere morale, pur non volendolo, di esercitare il governo della città”.

Negare ai filosofi tale ruolo di governo, equivarrebbe a tutelare la corporazione dei parlamentari. La quale corporazione vuole “l’esclusiva a esercitare l’attività di governo”, in base ad una doppia presunzione.

La prima: “che per ottenere il voto sia consentito porre il proprio interesse al di sopra dell’interesse generale”. Ed è per questo che Monti insiste ripetutamente – e contro ogni evidenza – di essere stato sorpreso dalla chiamata a Palazzo Chigi: a garanzia di non aver perseguito il proprio interesse.

La seconda: “che il voto dispensi dalla necessità di avere conoscenze e capacità adeguate”. Infatti, la corporazione dei parlamentari manca della “capacità di gestire una carica pubblica”: essi sono incapaci, altrimenti detto incompetenti. Laddove tale competenza non consiste in un particolare titolo di studio o curriculum, bensì nella accettazione dell’interesse generale come lo intende Monti: solo chi persegue la salvezza da Trump e dalla crisi climatica è capace di gestire una carica pubblica, dunque è competente.

Al contrario, la “politica che disdegna sempre più le competenze”, non è fatta di partiti ignoranti, bensì da partiti che “non vogliono fare” ciò che desiderano i competenti. I politici incompetenti sono quelli che vogliono fare qualcos’altro: magari persino ciò che desiderano gli elettori.

Per fortuna c’è il vincolo esterno

Se le cose non sono andate definitivamente a scatafascio è solo perché il vincolo esterno non ha consentito ai governi incompetenti di disobbedire all’interesse generale – cioè, all’interesse pensato da Monti.

Il vincolo esterno è quella cosa che costringe a formare governi non-molli (cioè, non-arrendevoli “nell’esigere il rispetto” da parte dei cittadini), rigorosi (cioè, affidabili nell’obbedire al mitologico interesse generale), austeri (cioè, non-dissoluti, del rigore l’austerità è la “manifestazione esteriore osservabile”, “austero è un governo che dimostra di amministrare la cosa pubblica in modo prudente e oculato”).

Il MES come apoteosi del vincolo esterno

E, per rinforzare il vincolo esterno, cosa meglio del Nuovo Trattato MES? Ecco spiegato il favore di Monti per Conte, al quale andò a spiegare “perché fosse importante ratificare la riforma del MES. Devo essere stato convincente, perché poi lui ha spinto il M5S su quella posizione, con una capacità dialettica tale che in Senato mi sono dovuto congratulare per la sua pedagogia didattica” (gli votò pure la fiducia); e, ancor oggi, lo gratifica del merito di aver saputo “sottrarre il Movimento alla cattiva educazione che la Lega gli ha impartito in materia di conti pubblici e rapporti con Bruxelles”.

Ed ecco spiegato lo sfavore di Monte per Meloni, la quale “nel dicembre 2023 … ha spinto la sua maggioranza di centrodestra a opporsi alla ratifica del MES”. Tutto ciò, nonostante che quello stesso Conte abbia allegramente scialacquato il Tesoro dello Stato, mentre Meloni “non abbia pensato neppure per un attimo di rimettere in discussione i vincoli economici e finanziari”. Perché, a contare veramente è solo la disponibilità a sottomettersi al vincolo esterno.

Sempre più autoritario

Ma pure il MES rischia di non bastare: “vincoli esterni sempre più stringenti all’azione politica … non bastano … se sono disgiunti da una cultura condivisa – nel governo, in Parlamento, tra gli elettori – sulla necessità di rispettarli”.

Tale cultura condivisa, però, è irraggiungibile: “è impossibile garantire la sicurezza tra le nuove incertezze geopolitiche o guidare la transizione ecologica se il potere viene usato soltanto per inseguire consenso immediato”.

Ed è qui, che il discorso di Monti si fa più esplicitamente autoritario. Secondo lui che, alle elezioni, la sua Scelta Civica (col sostegno della Merkel e del Papa) abbia ottenuto “tre milioni di voti, il 10 per cento del totale”, dimostrerebbe “che non è poi così vero che adottare misure impopolari condanna a essere impopolari” … come se il parere del 90 per cento del corpo elettorale contasse sega.

Va avanti sostenendo che il passaggio da Berlusconi a lui stesso, nel 2011, sia avvenuto “senza derogare alla Costituzione”; che le elezioni, in quel frangente, “avrebbero portato dritto al default”. Che il rifiuto della nomina di Paolo Savona, nel 2018, sia stata una forma di “moral suasion” del PdR (mentre invece fu un veto esplicito, peraltro assai poco costituzionale). Che il Covid sia stato gestito “sempre all’interno dei poteri e dei limiti previsti dalla Costituzione” … mentre invece ne fece strame. Che i Trattati europei, “molto rigidi e limitanti”, debbano essere interpretati in modo da togliere poteri agli Stati. Che tale estensivamente interpretato “assetto di regole, garanzie e vincoli” debba essere difeso nonostante abbia “tolto agli Stati” le possibilità di intervento proprie della democrazia costituzionale.

Il tutto molto curioso, in bocca ad uno che accusa la classe dirigente italiana di essere “propensa a interpretare le regole in modo discrezionale e a piegarle alle esigenze personali”. Ma Monti risponderebbe di aver piegato sì pure lui le regole, ma all’interesse generale. In altri termini, in nome della salvezza da Trump e dalla crisi climatica … si potrà fare un nuovo governo tecnico, un nuovo bel lockdown.

Ed è per questo che Monti si oppone alla riforma costituzionale della Meloni: “renderebbe praticamente impossibili i governi di unità nazionale”.

Conclusioni

Insomma, Monti è un signore che si crede un filosofo e vuole impoverirci, a beneficio di Greta Thunberg e contro Trump, sotto la verga della Troika e interpretando la Costituzione come meglio gli piace. E lo scrive pure. Raramente abbiamo letto un libro più allucinante.

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